Questa nuova iniziativa dell’Associazione “Roberto Almagià” Associazione Italiana Collezionisti di Cartografia Antica, che riunisce meritoriamente collezionisti di cartografia d’epoca, mercanti e studiosi del medesimo tema, e altri appassionati, oltre che di organizzazioni culturali calabresi, gode dell’appoggio scientifico del CISGE, il piccolo e vitale Centro per gli Studi Italiani Storico-Geografici, che porta innanzi con passione e competenza la tradizione italiana della ricerca e promozione per esegesi geo-storiche, spesso incentrate sulla cartografia del passato. Una tradizione purtroppo non sostenuta adeguatamente dalla geografia italiana nel suo complesso, che preferisce almeno maggioritariamente perseguire contraddittorie politiche ideologiche, in genere incentrate, seppur non sempre, su una geografia pseudo-marxista qualche volta forse involontariamente ignorante (nel senso letterale: che non conosce o non vuole conoscere, l’aggettivazione non ha e non vuole avere alcun intento denigratorio, ma rappresenta solo una semplice critica scientifica, pronta alla smentita a fronte di convincenti prove documentate) ossia disinformata sul passato disciplinare anche relativamente recente, che annoverava importanti studiosi del ramo, anche di livello internazionale, per cui studi e ricerche non rientranti in tale semi-ossessivo recinto, di fatto paiono non esistere.
Come la volta precedente per la Puglia, a Bari, adesso la Mostra dell’Associazione Almagià e altri connessi si sposta a Belvedere Marittimo, in Calabria. Una regione affascinante per morfologia fisica, per storia complessa del territorio, per la stessa sua rappresentazione cartografica, ma spesso trascurata nell’immaginario geografico italiano, in verità scarno di approfondimenti. Invece, la tradizione storico-araldica del Regno di Napoli, rinominato Due Sicilie alla fine del percorso vitale, ossia fino all’Unità d’Italia, riservava alla Calabria il titolo dell’erede al trono, appunto Duca di Calabria. La regione meno ricca e meno popolosa del Regno (ove non si consideri il piccolo Molise) veniva ricordata in tal modo (come per analogia il Galles nel Regno Unito) perché primigenia nella formazione del Regno meridionale, dal momento che i Normanni, fondatori del medesimo, dopo Aversa ceduta dal Ducato indipendente di Napoli, posero in Calabria le basi per la conquista della Sicilia occupata dai musulmani e per l’unificazione del Sud intero. Gli angioini, successori dei normanno-svevi sul trono di Napoli, confermarono e stabilizzarono l’uso del titolo.
Gran parte del catalogo si deve a due grossi calibri dell’esegesi storico-cartografica, ossia la geografa Simonetta Conti (già magna pars per la mostra e il catalogo precedenti) e Vladimiro Valerio, quest’ultimo certo il maggior studioso attuale di cartografia storica e storia della cartografia, che non proviene dalla matrice geografica universitaria, bensì da studi matematici e geometrici. Forse un segnale della decadenza della geografia italiana, tesa soprattutto a rincorrere orizzonti ideologici passatisti e, ovviamente, a dimenticare una parte del suo passato accademico non sempre scientificamente esaltante. Spero vivamente che così non sia.
Completa la triade degli autori dei saggi che aprono il catalogo (fatti salvi i presentatori politici, gli sponsor e il Presidente dell’Almagià, Maurizio Oliva) Giuseppe F. Macrì, specialista di cartografia nautica e di toponomastica connessa.
Perché “Calabrie” e non solo “Calabria” ? Si chiede e lo chiede a noi lettori Simonetta Conti nel saggio introduttivo. Da studiosa approfondita qual è, Simonetta offre risposte dotte, che affondano le radici nel lungo tempo passato. Infatti, sino all’Unità, le Calabrie amministrative del Regno erano tre: Citeriore. I Ulteriore e II Ulteriore. E prima ancora due: Citeriore e Ulteriore. Ognuna con un suo capoluogo, importante localmente, ma troppo piccolo e debole per estendere l’influenza sull’intera regione, peraltro assai frammentata fisicamente per via dell’elevata montuosità. Per addurre un esempio diverso, in Puglia la suddivisione provinciale storica mai richiama il nome “Puglia”: Provincia di Capitanata, Terra di Trani o di Bari, Terra d’Otranto. Soltanto in epoca unitaria si adotta il termine “Puglie” (ad es. “Bari delle Puglie”) forse per ignoranza sabaudo-piemontese della geostoria del Mezzogiorno, quando peraltro Napoli, capitale lungo-storica dell’intero Regno, viene degradata dalla sera alla mattina a semplice capoluogo di provincia, con le conseguenze esiziali che conosciamo. “Abruzzi” e “Calabrie” hanno una salda base storica, “Puglie” no. La visione delle carte riprodotte nel bel catalogo (anche ben stampato) fa comprendere più di ogni spiegazione raffinata e dotta, come il plurale fosse giustificato, anche solo guardando carte pre-geodetiche, con il rilievo a “coni di talpa” o con disegnini orografici di sicuro impatto visivo: quante montagne, quante strette valli torrentizie, quante sub-regioni, quante “Calabrie”.
Le pp. 15-59 sono occupate dai tre saggi tecnici di Conti, Valerio e Macrì, il resto dalle schede delle carte esposte, e dalla bibliografia, quest’ultima abbastanza ricca e, per fortuna, non carente di citazioni attinenti, magari di specialisti su cartografia e territorio calabresi, come usa ormai in pseudo-studi che ignorano nomi non graditi agli estensori (perché non rientranti nel “cerchio magico” ideologico-disciplinare o non laudatori del nulla scientifico), oppure, peggio, a loro ignoti per scarsa preparazione degli stessi estensori. E infine perché non tutto appare in rete, quindi non è a portata di clic senza consultazione reale, operazione che in storia della cartografia equivale a grave omissione, come un archeologo che mai si rechi sui luoghi dei reperti, ma soltanto li guardi in foto o in immagine elettronica.
Dei tre saggi, tutti traspiranti non solo competenza, ma anche amore e passione per la materia, estraggo soltanto tre citazioni. Onde non trasformare una recensione in un inutile trattato.
Da Simonetta Conti evidenzio un brano da p.23, circa la più importante pubblicazione sulle c. d. “Mappe o Carte Aragonesi”, del 2023, nella quale la Calabria gode di particolare attenzione, a cura di F. La Greca, con saggi di Valerio, Siniscalchi, Manzi, Franco e Aversano:
“In realtà le regioni che appartenevano al Regno di Napoli, dagli Abruzzi alle Calabrie, erano le sole che potevano vantare una cartografia regionale avanzatissima, di primissimo piano ed estremamente precisa: le Mappe Aragonesi”.
Ho specialmente apprezzato, nelle pagine della Conti, il paragrafo su Cartografia e terremoti, dove si ricordano le rappresentazioni seguite al terribile sisma del 1783, o eseguite direttamente da tecnici inviati dal governo di Napoli, o successive all’evento, a dimostrazione che non tutto e non sempre a Napoli e nel Regno fosse “negazione di Dio”, ignoranza, pressapochismo e barbarie, come gran parte della propaganda risorgimentale e post-unitaria volle far credere.
Vladimiro Valerio da par suo approfondisce appunto la vicenda geodetico-storico-cartografica legata al terremoto di cui sopra, con valutazione raffinata della carta usata per le rappresentazioni, della qualità di stampa e soprattutto del rilevamento. E conclude rivelando, o meglio precisando, come con l’Unità il patrimonio cartografico e documentario del vecchio Regno fosse addirittura “falsificato”, specie per la Calabria, poiché i rami della carta del Regno opera di Rizzi Zannoni furono manomessi, senza un corrispondente rilievo sul terreno, aggiungendo sui rami strade nuove e in seguito addirittura ferrovie, inesistenti all’epoca del rilievo eseguito dal grande cartografo e dai suoi assistenti tra fine Settecento e i primi dell’Ottocento. E in piccola misura già verso la fine del Regno indipendente, “creando un clamoroso falso storico” (p.44) ben dopo l’Unità, quindi con dispregio per la conoscenza del Mezzogiorno conquistato.
Macrì giustamente ricorda l’Atlante Marittimo del Rizzi Zannoni, appena precedente l’Atlante terrestre dello stesso cartografo patavino, come prodotto di alto livello, e inoltre dedica una lunga esegesi, “ad uno dei maggiori cartografi italiani del ‘600, il calabrese Domenico Vigliarolo, che rappresentò “in scale e conformazioni varie, in ben sei delle sue carte” (p.53).
Le pp. 62-152 sono dedicate a 38 schede cartografiche, da una rozza figurazione del 1538, edita a Basilea, alla bellissima Carta dei prodotti alimentari delle province continentali delle Due Sicilie, in litografia, opera edita nel 1856, dovuta all’arte sapiente del sommo cartografo Benedetto Marzolla, solo due anni prima della scomparsa prematura dello stesso autore. Nella parte dedicata alla Calabria si evidenziano prodotti ancora esistenti, ma divenuti pregiati e “di nicchia” come ad esempio salami e prosciutti, e “frutti confettati”, tonno di tonnara.
Parecchie schede, tutte illustrate da immagini del descritto, meriterebbero un commento particolareggiato. Le apprezzo anche per la chiarezza rivolta a non specialisti seppur senza indulgere al semplicismo esasperato, tipico del giornalismo scadente (ne esiste anche un altro informato e responsabile). In particolare ricche e di piacevole lettura appaiono quelle sulle carte post-terremoto di fine Settecento, quelle sui prodotti zannoniani e ovviamente sulle figurazioni vicereali di Cartaro e Stigliola. Ma non c’è uno stralcio delle Mappe Aragonesi, pur giustamente lodate dalla Conti nel suo saggio. Tuttavia. Il prestito di almeno una di esse per la mostra (dall’Archivio di Stato di Napoli o dalla Bibliothèque Nationale di Parigi) sarebbe stato non solo laborioso, ma di fatto impossibile, anche per l’alto costo del trasporto e della sicurezza assoluta richiesti. I reperti illustrati si devono a prestiti della Biblioteca Nazionale di Napoli, di quelle di Lisbona e di Malta, la Antica di Corigliano, la Newberry Library, e a collezionisti e commercianti di alta specializzazione. Una mostra e un catalogo davvero coinvolgenti, che si spera induca i vertici della geografia italiana, dalle Società editrici di riviste specialistiche, all’associazione professionale A.ge.i., a valutare meglio e con maggiore attenzione il ramo storico-cartografico, che soffre del “grave difetto” di prestarsi meno al giochetto ideologico-ostracistico, quindi all’etichettatura di personaggio gradito o meno, perché non allineato, o addirittura ignorato, cancellato dalla memoria disciplinare come d’uso in età egizio-faraonica, scalpellando il nome da sculture e cartigli. Tuttavia nomi e pubblicazioni di studiosi incolpevoli se non di lesa maestà del canned smoke, restano nelle citazioni di altri, più numerosi e attivi di una parte dei geografi italiani più politicizzati, come storici, sociologi, territorialisti vari, anche letterati, o soltanto lettori, per esempio di autori di saggi presso editori di opere vastamente diffuse, con tirature di oltre 200.000 copie (tipo T.C.I.), non soltanto estensori di note di circa 10-15 pp., quelli di solito accettati dalle riviste geografiche specialistiche, lette in media dalle 100 alle 300 persone. Lieto, al solito, di documentate smentire, nell’interesse della geografia, della storia della cartografia, di studi affini e più in generale, del confronto leale e scientifico.
Elio Manzi